Cronologia
Progetto agosto 2011
Fine lavori aprile 2013
committente
privato
Ubicazione
Porto Cesareo, Lecce
Fotografia
archivio gruppoforesta | studio di architettura
Riconoscimenti
2015: Green Building Solutions Awards 2015, National Winner
A Porto Cesareo, a 30 mt dal battigia, in una zona ad altissimo impatto ambientale, nella baia di Torre Chianca, è stato recuperato uno dei tanti edifici per lo più abusivi, che devastano la costa salentina. L’edificio si presentava come un parallelepipedo di scarso valore costruttivo, realizzato sul finire degli anni ’60, con numerose aggiunte e superfetazioni abusive stratificate nel tempo. Adagiato in contropendenza sulla duna costiera, sviluppava due piani fuori terra in corrispondenza della spiaggia mentre nella parte retrostante, a seguito dello sbancamento dunale era stato ricavato un piano ribassato. La scarsa accortezza costruttiva e l’uso di materiali scadenti utilizzati non garantivano, all’interno, condizioni di salubrità, oltre che di staticità. Una nuova committenza “illuminata”, propensa ad investire nel Salento, diventa occasione per lo studio d’architettura del gruppoforesta di trasformare l’abuso costruito sulla duna di Porto Cesareo, in un edificio sostenibile, classe energetica “A” in conformità alla legge13/08 “Norme per l’abitare sostenibile” e nel rispetto del Protocollo Itaca. L’intervento è volto a migliorare l’involucro edilizio ed il suo rapporto con l’ambiente circostante, tramite scelte architettoniche e tecniche in linea con l’abitare sostenibile e la qualità delle opere di architettura. La ricerca parte dal genius loci. Il Salento, “una terra arditamente prolungata nel mare mediterraneo”, caratterizzata da una forte esposizione al sole, da un clima temperato con una temperatura media annua che oscilla intorno ai 16-20 C°. Questa condizione climatica diventa il punto di partenza del progetto, scandisce le scelte, determina il risultato finale. Nel bacino del mediterraneo è facile intuire che la luce, il vento e il sole diventano materiali da costruzioni al pari del mattone o della pietra. La particolarità del recupero del manufatto consiste non tanto nella “sostenibilità tecnologica” dell’edificio stesso – qualità oramai accessibile e necessaria – quanto nella capacità dei progettisti di coniugare qualità architettonica, prestazioni energetiche e soprattutto il genius loci. Il recupero non nostalgico delle tradizionali “buone pratiche” del costruire del territorio, come per esempio l’orientamento rispetto ai venti e al sole, l’uso dei materiali con forte inerzia termica, ha permesso di raggiungere il traguardo della sostenibilità senza ricorrere a soluzioni tecnologiche ed impiantistiche esasperate. Il manufatto rispetta le prescrizioni normative, attraverso l’interpretazione del luogo e della storia, facendo dialogare la qualità architettonica e le prestazioni energetiche dell’edificio, mediante soluzioni costruttive tradizionali e l’uso di tecnologia sempre “a servizio” dell’architettura e non come condizione necessaria al raggiungimento della qualità dell’abitare. L’intervento è stato in primis quello di demolire, autodenunciandosi, gli abusi e riportare l’edificio al suo stato iniziale. Successivamente, a causa di fenomeni di rotazione presenti sul manufatto, si è ritenuto necessario un intervento di consolidamento statico attraverso la realizzazione di un sistema a telaio in c.a. che inquadra il terrazzo fronte mare. Per garantire salubrità attraverso un irraggiamento diretto, è stata sventrata la parte centrale per creare una piccola corte su cui ruota la nuova distribuzione interna. Il colore dei prospetti riprende la tonalità della sabbia antistante e i parapetti in vetro eliminano qualsiasi barriera visiva. L’area a verde è piantumata con essenze arboree autoctone. Nonostante il punteggio raggiunto (3,12) i progettisti, e di conseguenza la committenza, hanno ritenuto opportuno non utilizzare la premialità di cubatura nel rispetto del contesto ambientale e della torre saracena che segna l’intera baia. Tutto questo per non incidere in maniera negativa su un territorio già consumato, avvilito e depredato e si è continuato l’iter del Protocollo Itaca per dare al progetto e all’edificio un’attestazione della qualità ottenuta; d’altronde non sarebbe stato possibile usufruire, data l’ubicazione dell’immobile, della premialità, tantomeno degli incentivi da parte del Comune (ovviamente assenti). Quando ci si interfaccia con la natura, il valore di proprietà viene sempre meno rispetto all’interesse della collettività e alla tutela dell’ambiente.